giovedì 10 novembre 2011

Scale mobili


La giornata non può cominciare senza il caffè. Per me e Giulia la colazione è un rito, e, come tale, merita di essere celebrata con cappuccino macchiato al cacao e cornetti al burro fumanti. Giulia è la mia migliore  amica, ci siamo trasferite a Milano da Brindisi.«Giu’sono stufa della monotonia di questa città» le ho detto un anno fa, mentre immaginavamo il nostro avvenire dopo la laurea. Io ho studiato Lettere, Giulia Architettura. Ai tempi dell’università il futuro ci appariva come un’enorme pagina bianca. I primi colloqui, i primi “le faremo sapere” e le delusioni per una società che  accoglie a braccia aperte solo i raccomandati. Così ho iniziato a guardarmi intorno. Una notte che non riuscivo a dormire, ho deciso di tagliare i ponti e di andare incontro al mio domani. La mattina seguente ho chiamato Giulia, e le ho proposto di trasferirci a Milano,  di sperimentare la vita in una grande città. Giulia ha accettato senza battere ciglio, confessandomi che da tempo stava pensando di intraprendere la professione di architetto a Milano, se non altro per le opportunità che il cambio di città le avrebbe offerto.
E così eccoci qua, come Thelma e Louise, a dividerci l’affitto, il tetto, il caffè, ma mai il cornetto.
«Buongiorno Giu’io vado di corsa, il caffè è pronto, e il latte è da scaldare». Giulia annuisce. La mattina è inavvicinabile. Lei lavora presso uno studio privato e la mattina ha orari migliori di me, che lavoro in una biblioteca universitaria. Intanto devo correre a prendere la metro, altrimenti rischio di far tardi sul serio. Milano mi piace. Mi piace la mattina presto quando si anima a singhiozzi, quando dai bar si diffonde nell’aria il profumo del cappuccino e dei cornetti appena sfornati, e le edicole espongono i giornali con i titoloni del giorno. Mi sento come al centro del mondo, di una roulette russa impazzita. Corro, non faccio altro che correre, e devo dire che mi piace. Salgo di corsa le scale della biblioteca. Una lunga giornata di lavoro mi attende.
-Eccola, la pugliese! Buongiorno Livia.
-Buongiorno Mario. Ho un sonno terribile, speriamo che oggi non ci sia troppo da fare.
Mario è il mio collega, milanese d’origine. È un ragazzo molto simpatico ed è piacevole lavorare con lui. Tra non molto inizieranno ad arrivare professori, ricercatori e studenti in cerca di libri e riviste specializzate, e già so che non avremo pace. Poi ci sono le catalogazioni da fare, e le richieste di nuovi libri da spedire alle case editrici.  Le ore passano veloci. Il contatto con gli studenti rende il lavoro piacevole. In fondo questo impiego mi piace, anche se la mattina non posso mai dormire.
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Non è vero che mi sono scocciato di cercare un lavoro, e che proprio non lo trovo. Che crede mia madre che sono felice di vivere ancora sotto il suo stesso tetto e di sperare che lei e mio padre escano per starmene un po’da solo o invitare a casa la mia ragazza? E comunque non è esatto che non ho un lavoro. Lavoro part time in un’impresa commerciale e gestisco il pacchetto clienti.  Mi pagano a provvigioni, con un fisso che farebbe sorridere le mosche. Una presa in giro, ma non ne posso più di attendere la proposta del secolo. Nel bar, intorno a me, c’è un grande via vai di persone.
Napoli alle 13.00 si trasforma in un porto di mare. A cavallo tra la mattinata  e il pomeriggio, chi lavora cerca di mangiare un boccone, e chi non lavora, ci beve su, o fuma una sigaretta. In questi giorni la città offre la sua immagine peggiore, ed ho il presentimento che è quella che passerà alla storia. Munnezza ovunque, e faccio pure un lavoro che non mi piace. Mi sento proprio sfigato, ma non lo ammetterei mai. Quelli che frequentavo da piccolo sono diventati parte integrante del sistema criminale del rione dove abito. Solo chi è stato trascinato via dai genitori in un’altra città si è salvato. Gli amici che ho conosciuto all’università li ho persi tutti di vista. Buoni quelli, comunque… giocavano a fare i ribelli alternativi con un bel gruzzoletto in tasca e un master post laurea alla Bocconi, gentilmente finanziato da mamma e papà. Preferisco stare da solo con i miei casini, che con certi pagliacci. Se mi trasferissi sarebbe tutto più facile, ma non voglio. Sono nato e cresciuto in questa città. Napoli è la mia ragazza, e mi mancherebbe se la lasciassi.
Il barista mi fa segno come a dire “Oh scetat uagliò” e gli sorrido. «Scemo sto scetat» gli vorrei rispondere, ma non è il caso. Ci perderemmo in una quisquilia senza fine su chi e perché è lo scemo di turno.  Nel bar entra una ragazza. Una di quelle che profuma di mela. Semplice e molto carina. Ma cosa ci farà mai una come lei in un bar della periferia di Napoli? Ordina un cappuccino e una brioche. «Cappuccino e brioche? Uagliuncè, ma che è, non hai fatto colazione?» le fa il solito barista. Lei sorride e col capo gli fa segno di no. Non aggiunge altro, ringrazia e si tuffa nella brioche a crema amarena. Mi nota, mi guarda, distoglie di nuovo lo sguardo.  Che mi trovi carino?
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Finalmente è finita anche questa giornata. Giulia rientrerà non prima  delle venti e perciò mi tocca cucinare. Potrei preparare una polenta, con contorno di funghi e delle bruschette, il tutto accompagnato da una bottiglia di vino frizzante. Si, mi sembra proprio una buona idea, ma prima voglio lavare via questa giornata e rilassarmi un po’con una doccia calda. Questo è il momento della giornata che preferisco: ci sono solo io, i miei pensieri e la bellezza delle piccole cose. Scivolo sotto la doccia sicura di aver dato il meglio di me anche oggi, e che quello che verrà sarà solo relax e serenità. La mia casetta, la cena e due chiacchiere con la mia miglior amica. Poi le nostre vicine ci inviteranno, come sempre,  a guardare un film, o semplicemente a farci compagnia. Le ragazze che abitano di fronte sono napoletane, e come noi, sono salite a Milano per trovare lavoro. Sono simpatiche, e il sabato usciamo tutte con degli amici comuni per andare in qualche locale. Insomma ce la caviamo, qui nella big city.
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Tra non molto mi tocca andare a lavoro, e l’idea mi annoia un bel po’. Paranoia totale. «Pronto signora, chiamo dalla Endimac. Lo sa che siamo dei gran rompipalle, nonché dei conclamati imbroglioni?» ecco quello che mi piacerebbe dire alla gente oggi, ma mi sa che mi licenzierebbero su due piedi. Eh si, credo proprio che mi caccerebbero a calci nel sedere. Intanto la ragazza carina si è seduta ad un tavolo e legge il giornale. Fatto anomalo. Voglio dire, mica siamo in un caffè letterario, dove una ragazza si siede sola soletta e legge? Quasi quasi mi siedo al suo tavolo.
“Don, don, don”, cavolo l’orologio segna le 14.00, devo scappare al lavoro. Ciao, ragazza sola soletta, spero di incontrarti ancora.

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