Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il nome
tuo
noi che da ogni luogo delle acque e della terra
col tuo nome altri nomi taciamo e pronunciamo.
Perché il fuoco non muore.
(Pablo Neruda)
Quando Tina Modotti è morta in circostanze misteriose (forse
avvelenata dagli stalinisti), Pablo Neruda le ha dedicato una poesia. Il fuoco
è l’immagine pertinente, più vera per questa donna barricadiera, sospinta in
giro per il mondo da un credo che si è poi rivelato un inganno. Un ideale
sgretolato, con cui sono venuti giù le belle speranze, la passione politica ed
artistica, persino il sorriso. Pino
Cacucci, scrittore e traduttore italiano, vissuto per anni in Messico, ha
dedicato un saggio alla Modotti, intitolato semplicemente “Tina”. Il testo è
completo di lacerti di lettere, poesie, scatti dell’epoca. I documenti
ufficiali ricalcano la biografia particolare di una donna coraggiosa, che è
stata prima di tutto una brava fotografa, poi una comunista militante. Secondo
quanto leggiamo, Tina era una donna bellissima. Rotonda e appassionata,
incuriosiva per la tragicità e la malinconia dell’espressione che,
all’occorrenza, lasciavano spazio al trasporto. Ha amato ed è stata amata, fino
alla disfatta del mondo in cui credeva. Ne esce protagonista e vittima questa
Tina, esca viva della follia omicida di Stalin e dei suoi scagnozzi. L’Urss, infatti, osteggiava qualsiasi
organizzazione libera dal basso, in nome di un regime in cui Tina stentava a
riconoscersi. Ma opporsi voleva dire morte certa, e quando lei ha osato
allontanarsi, è morta senza un perché. Il merito di Cacucci è di restituire
alla memoria storica collettiva un’oleografia screziata di rosso e di nero,
spesso indecifrabile, ma impregnata di ragioni, di verità tuttora taciute, e
che meriterebbero ben altra fama.
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