domenica 25 dicembre 2011

A brandelli



Amo in te/ l'avventura della nave che va verso il polo/amo in te/ l'audacia dei giocatori delle grandi scoperte/amo in te le cose lontane/amo in te l'impossibile/entro nei tuoi occhi come in un bosco/pieno di sole/e sudato affamato infuriato/ho la passione del cacciatore/per mordere nella tua carne.
(Nazim Hikmet)

Quando mi ha telefonato era agitata. Mi ha solo detto “Corri, se puoi” ed ha attaccato. Ho guidato senza mai togliere il piede dall’acceleratore, volando sulle distanze che mi separavano da casa di Lisa. Avevo le chiavi, me ne aveva fatto una copia per le emergenze e per le mattine in cui dovevo badare ai bambini, anche se, da quando Tommaso aveva perso il lavoro, avevo smesso di fare il loro baby sitter. Era un po’ che non frequentavo casa loro, un paio di mesi su per giù, e l’improvvisa richiesta d’aiuto della mia amica mi appariva tanto inaspettata quanto preoccupante. Conoscendola ero certo che dovesse trattarsi di qualcosa di serio.
Lisa e Tommaso si conoscevano da anni: già ai tempi dell’università, io e un paio di amici comuni eravamo pronti a giurare che prima o poi si sarebbero sposati. Sembravano fatti l’ uno per l’altra e riuscivano sempre a ritrovarsi, nonostante gli alti e i bassi.
Ho parcheggiato la macchina e mi sono precipitato in casa.
Frequentavo Lisa da tempo. Ero, credo, il suo amico più caro, anche se non me l’aveva mai confessato. Lo capivo dalle confidenze, dalle attenzioni, dai sorrisi sinceri. Non mi aveva mai detto di volermi bene, spesso spariva per mesi, ma al momento opportuno era là, presente, ed io ricambiavo come meglio potevo.
Quando sono entrato l’ho trovata seduta sul divano, con lo sguardo nel vuoto. Il sangue le usciva dal naso ed aveva un livido enorme e viola sull’occhio destro. Tremava, non mi guardava nemmeno in faccia. “Lisa?” ho chiamato invano, poi mi sono avvicinato. “Lisa, che hai fatto, Lisa?” Ancora silenzio. Le lacrime, mute, le rigavano il viso. Piangeva e tremava, mentre continuava a fissare il nulla davanti a lei. D’istinto le ho preso il viso tra le mani e le ho detto “ora mi dici chi diavolo hai combinato, ok?”. Allora mi si è gettata al collo ed ha iniziato a singhiozzare. “Tommaso” ha biascicato, e mi ha guardato dritta negli occhi. “Tommaso? che c’entra Tommaso?” le ho chiesto sgomento. “Non so nemmeno io com’è successo. Stavamo litigando e mi ha colpito, ho reagito e mi ha colpito ancora, ancora e ancora”.
La confessione mi è piovuta addosso come una doccia fredda. Ha iniziato a parlare: mi ha raccontato del licenziamento del marito, dell’alcol, delle uscite notturne, di un uomo smarrito e di un matrimonio distrutto. Mi ha raccontato della mano pesante sul viso, dell’impatto con la pelle morbida e degli occhi che sembravano voler schizzare fuori dalle orbite. Solo in quel momento notai i cocci sparsi sul pavimento, i frammenti di vasi, i rimasugli di scatole, le foto sparse. Solo in quel momento vedevo la vita della mia amica a brandelli.
Dopo il primo schiaffo, si era protetta il viso e la testa con le mani. Ha urlato. Allora Tommaso ha afferrato le chiavi ed è uscito, sbattendo la porta. Lisa, invece, è rimasta per terra, con un occhio gonfio e il sangue che usciva dal naso. Le ore, i giorni, gli anni insieme erano sfumati in un attimo, nel buio di un baratro inaspettato.
Non sapevo che dirle. Senza pensarci le ho proposto di venire a stare per qualche giorno a casa mia.  Non era entusiasta, ma mi ha lasciato fare. Ho telefonato a sua madre per chiederle di raggiungerci a casa mia. Poi ho tirato giù una valigia dall’armadio a muro. Lisa si era asciugata le lacrime “Non posso credere sia successo proprio a me, proprio a noi” ha aggiunto, mentre riponeva un po’ di abiti nella borsa. Per il resto del tempo non ha detto una parola. In quel frangente, non avvertiva né il dolore fisico, né il bruciore dei lividi. Lo schiaffo aveva fermato lo scorrere ordinario dei giorni. E io? che cosa avrei fatto io se Tommaso fosse ritornato? Me lo sono chiesto anche nei giorni seguenti, per il tutto il tempo che l’ ho ospitata. La guardavo cancellare tracce, appigli che avrebbero potuto condurre il marito da lei, e la lasciavo fare. Mi meravigliavo di come, a poco a poco, riacquistasse lucidità. Gli equilibri, i patti, Tommaso li aveva sovvertiti tutti. Con quello schiaffo aveva tradito prima di tutto se stesso e Lisa lo sapeva benissimo. Prima di andare via le ho medicato le ferite e le ho preparato una tisana per risollevarle l’umore. Sapevo dove trovare gli infusi, le tazze, lo zucchero. Tutto mi era familiare. Avevo trascorso intere giornate in quella a casa con i bambini. Beveva piano, a piccoli sorsi. Ogni tanto mi fissava, accovacciata sul divanetto della cucina. Galleggiava a malapena nella poltrona, invasa dai pensieri. Io, intanto, avevo sistemato il borsone sull’uscio.“Non ho la minima idea di come reagirà Tommaso quando si renderà conto che me ne sono andata” ha commentato mentre stava finendo di bere. Ho preso la tazza e l’ho lavata “Ora andiamo” ha detto, spezzando il silenzio. Tutto era pronto. Ho afferrato la valigia per evitare si stancasse e l’ho caricata in macchina. “Non credere che resterò da te a lungo. Il tempo di mettere un po’ d’ordine”. Le ho sorriso e ho messo in moto. La solita riservata testarda ho pensato, ma non gliel’ho detto.

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