Amo in te/ l'avventura
della nave che va verso il polo/amo in te/ l'audacia dei giocatori delle grandi
scoperte/amo in te le cose lontane/amo in te l'impossibile/entro nei tuoi occhi
come in un bosco/pieno di sole/e sudato affamato infuriato/ho la passione del
cacciatore/per mordere nella tua carne.
(Nazim Hikmet)
Quando mi ha
telefonato era agitata. Mi ha solo detto “Corri, se puoi” ed ha attaccato. Ho
guidato senza mai togliere il piede dall’acceleratore, volando sulle distanze che
mi separavano da casa di Lisa. Avevo le chiavi, me ne aveva fatto una copia per
le emergenze e per le mattine in cui dovevo badare ai bambini, anche se, da
quando Tommaso aveva perso il lavoro, avevo smesso di fare il loro baby sitter.
Era un po’ che non frequentavo casa loro, un paio di mesi su per giù, e
l’improvvisa richiesta d’aiuto della mia amica mi appariva tanto inaspettata
quanto preoccupante. Conoscendola ero certo che dovesse trattarsi di qualcosa
di serio.
Lisa e Tommaso si conoscevano da anni: già ai tempi
dell’università, io e un paio di amici comuni eravamo pronti a giurare che
prima o poi si sarebbero sposati. Sembravano fatti l’ uno per l’altra e
riuscivano sempre a ritrovarsi, nonostante gli alti e i bassi.
Ho parcheggiato la macchina e mi sono precipitato in
casa.
Frequentavo Lisa da tempo. Ero, credo, il suo amico più
caro, anche se non me l’aveva mai confessato. Lo capivo dalle confidenze, dalle
attenzioni, dai sorrisi sinceri. Non mi aveva mai detto di volermi bene, spesso
spariva per mesi, ma al momento opportuno era là, presente, ed io ricambiavo
come meglio potevo.
Quando sono entrato l’ho trovata seduta sul divano,
con lo sguardo nel vuoto. Il sangue le usciva dal naso ed aveva un livido
enorme e viola sull’occhio destro. Tremava, non mi guardava nemmeno in faccia.
“Lisa?” ho chiamato invano, poi mi sono avvicinato. “Lisa, che hai fatto, Lisa?”
Ancora silenzio. Le lacrime, mute, le rigavano il viso. Piangeva e tremava, mentre
continuava a fissare il nulla davanti a lei. D’istinto le ho preso il viso tra
le mani e le ho detto “ora mi dici chi diavolo hai combinato, ok?”. Allora mi
si è gettata al collo ed ha iniziato a singhiozzare. “Tommaso” ha biascicato, e
mi ha guardato dritta negli occhi. “Tommaso? che c’entra Tommaso?” le ho
chiesto sgomento. “Non so nemmeno io com’è successo. Stavamo litigando e mi ha
colpito, ho reagito e mi ha colpito ancora, ancora e ancora”.
La confessione mi è piovuta addosso come una doccia fredda.
Ha iniziato a parlare: mi ha raccontato del licenziamento del marito,
dell’alcol, delle uscite notturne, di un uomo smarrito e di un matrimonio
distrutto. Mi ha raccontato della mano pesante sul viso, dell’impatto con la
pelle morbida e degli occhi che sembravano voler schizzare fuori dalle orbite.
Solo in quel momento notai i cocci sparsi sul pavimento, i frammenti di vasi, i
rimasugli di scatole, le foto sparse. Solo in quel momento vedevo la vita della
mia amica a brandelli.
Dopo il primo schiaffo, si era protetta il viso e la
testa con le mani. Ha urlato. Allora Tommaso ha afferrato le chiavi ed è
uscito, sbattendo la porta. Lisa, invece, è rimasta per terra, con un occhio
gonfio e il sangue che usciva dal naso. Le ore, i giorni, gli anni insieme
erano sfumati in un attimo, nel buio di un baratro inaspettato.
Non sapevo che dirle. Senza pensarci le ho proposto di
venire a stare per qualche giorno a casa mia. Non era entusiasta, ma mi
ha lasciato fare. Ho telefonato a sua madre per chiederle di raggiungerci a
casa mia. Poi ho tirato giù una valigia dall’armadio a muro. Lisa si era
asciugata le lacrime “Non posso credere sia successo proprio a me, proprio
a noi” ha aggiunto, mentre riponeva un po’ di abiti nella borsa. Per il resto
del tempo non ha detto una parola. In quel frangente, non avvertiva né il
dolore fisico, né il bruciore dei lividi. Lo schiaffo aveva fermato lo scorrere
ordinario dei giorni. E io? che cosa avrei fatto io se Tommaso fosse ritornato?
Me lo sono chiesto anche nei giorni seguenti, per il tutto il tempo che l’ ho
ospitata. La guardavo cancellare tracce, appigli che avrebbero potuto
condurre il marito da lei, e la lasciavo fare. Mi meravigliavo di come, a poco
a poco, riacquistasse lucidità. Gli equilibri, i patti, Tommaso li aveva
sovvertiti tutti. Con quello schiaffo aveva tradito prima di tutto se stesso e
Lisa lo sapeva benissimo. Prima di andare via le ho medicato le ferite e le ho
preparato una tisana per risollevarle l’umore. Sapevo dove trovare gli infusi,
le tazze, lo zucchero. Tutto mi era familiare. Avevo trascorso intere giornate
in quella a casa con i bambini. Beveva piano, a piccoli sorsi. Ogni tanto mi
fissava, accovacciata sul divanetto della cucina. Galleggiava a malapena nella
poltrona, invasa dai pensieri. Io, intanto, avevo sistemato il borsone
sull’uscio.“Non ho la minima idea di come reagirà Tommaso quando si renderà
conto che me ne sono andata” ha commentato mentre stava finendo di bere. Ho preso
la tazza e l’ho lavata “Ora andiamo” ha detto, spezzando il silenzio. Tutto era
pronto. Ho afferrato la valigia per evitare si stancasse e l’ho caricata in
macchina. “Non credere che resterò da te a lungo. Il tempo di mettere un po’ d’ordine”.
Le ho sorriso e ho messo in moto. La
solita riservata testarda ho pensato, ma non gliel’ho detto.
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