Spazio bianco
L’estate negli Ottanta non era così rovente. Le vacanze
erano esodi di impiegati in corsa verso un morso di libertà e un refolo di
brezza marina, senza sveglie, senza cartellini da marcare e cucine da
sgrassare. I sogni, ammaccati dal trantran lungo un anno, riacquistavano
spessore, rinvigorivano la mente ed il corpo ammorbati.
La Renault 14 di mio padre era carica quanto bastava. Tre
bagagli, un sacchetto per i secchielli, la maschera e le pinne per giocare a fare
qualche immersione. Occupavamo solo il cofano. Non come le altre auto che
scoppiavano di valigie, gommoni e biciclette. “Questi si portano dietro la
casa” commentava mia madre che si figurava con un certo spavento le mogli di
quegli automobilisti alle prese col carico improbabile. Ma per sua fortuna
quelle scene fantozziane non ci appartenevano. Dalla Campania alla profonda
Calabria bruciata di sole, la Salerno-Reggio Calabria si stagliava per più di
500 km davanti a noi. Attraversarla sarebbe diventato presto un rito annuale,
una mezza certezza da inseguire durante l’inverno. Di quegli anni, di quelle
fughe implacabili verso lo scintillio dello Ionio, ricordo soprattutto la
gioia, il senso di liberazione, specie per mia madre. Per lei quelle tre
settimane, diritto sacrosanto e inviolabile, significavano rottura, forbici,
telefoni a gettone, eco lontane, vita ritrovata. Stessa sensazione per mio
padre, amante delle onde da che ne ho memoria, e per mia sorella. Il sole ci
metteva un attimo ad infuocare le lamiere. Masticavamo la strada con i
finestrini abbassati, i succhi di frutta sempre pronti, e con mio padre che si
concedeva, ogni tanto, un tiro di
Marlboro rossa. La “Stagione dell’amore”
di Battiato sfumava in “Se io fossi un angelo” di Dalla: quei ritmi, quelle
parole scandiscono ancora le cadenze dei ricordi. Atmosfere nostalgiche che
battono il tempo di un periodo fermo nella memoria, tipo un’istantanea un po’
sbiadita, ma ancora vivida, pregna di sguardi, odori, pensieri. Uno spazio
immacolato, di una serenità irreale, senza Internet in tasca, quando lo spread,
il mondo virtuale, i contratti a tempo erano congetture incerte di un futuro
non ancora prossimo.
Spazio blu
La comodità delle vacanze in un villaggio con gli
appartamenti sul mare è poter indugiare in spiaggia quanto ti pare, nonostante
i 30 gradi base. I capelli impiastricciati di sale e i piedi di sabbia sono il
segno tangibile che sei lontana anni luce da casa. Raf canta “Il battito
animale”. Lo senti fin da giù al cortiletto, cotta di luce. Percorri le
distanze tra la spiaggia e il bungalow accompagnata da un frinire incessante,
eppure per niente fastidioso. Anzi, è una specie di sottofondo amico, un
refrain tipico di questo periodo dell’anno. D’altronde l’hai aspettato per
dodici mesi questo momento. Hai agognato il mare, i sassolini sotto i piedi, le
cene sul terrazzino e la fissa di tre settimane per il solito scapigliato secco
che, quando meno te l’aspetti, si lancia nell’ultimo ballo del momento. Hai
sognato di rincasare tardi la sera, di alzare la testa verso il cielo e
smarrirti in quel luccichio. Sapevi che, come sempre, avresti voluto
condividere quella gioia con lo scapigliato; tuttavia adesso che ci siete solo
tu e le stelle, ti racconti che va bene pure ammirarle da sola. Il mare
costeggia il villaggio. Passo dopo passo lo senti frangersi sul bagnasciuga,
accarezzare la sabbia chiara illuminata solo dalla luna. La luna di luglio.
Gigantesca e vigile. Il paese, la noia, le ore che non passavano mai lontana da
scuola sono pensieri che non ti appartengono più. La notte è tua, e domani, sì, è proprio un altro giorno.
brava, mi piace, mi hai fatto rivivere quelle sensazioni fragranti e serene, ma voglio un racconto vero e proprio da parte tua!
RispondiEliminaGrazie, però un appunto devo farlo: è cosa buona firmarsi quando si lascia un commento:)
EliminaBellissimo!che sensazione di estate che mi hanno dato le tue parole!complimenti!
RispondiEliminagrazie mille:)
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